ALL THAT FALL. 2014
Museo Riso, Palermo
Il 3 luglio 2014, Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia inaugura All That Fall, installazione di Stefano Canto concepita per il loggiato della Cappella dell’Incoronazione di Palermo, spazio off di Riso. Il progetto di N38E13, a cura di Salvatore Davì, prende forma grazie al protocollo d’intesa stipulato tra il Museo e N38E13, nell’ambito delle attività multidisciplinari avviate dal direttore di Riso Valeria Patrizia Li Vigni per la valorizzazione dell’arte contemporanea ed il rafforzamento e la coesione del Museo con il territorio.L’opera è il risultato dello studio avviato da Stefano Canto sul significato delle forme e sull’estetica del paesaggio palermitano. In occasione dell’Open Studio inaugurato il 24 maggio 2014, presso N38E13, l’artista presenta le fasi di ricerca, le opere e i lavori preparatori e li fa confluire all’interno delle campagne di crowdfunding e fundraising attivate da N38E13 per sostenere la produzione dell’intervento site specific.
All That Fall è un pavimento irregolare e disconnesso, accessibile e percorribile, una membrana che riveste l’intera superficie del Loggiato della Cappella dell’Incoronazione. L’opera costringe ad un andamento sincopato e a possibili perdite di equilibrio, è un percorso dalla fruibilità labile, la cui struttura si presenta come un disegno geometrico composto da tavole di legno. La radice concettuale dell’opera è da rintracciare nella ricerca di Stefano Canto, artista attento alla semiotica degli oggetti, che sonda le possibilità sintattiche delle superfici architettoniche in relazione al paesaggio, alla natura e al contesto socio-culturale. L’opera è legata all’idea di alterazione, alle superfetazioni e agli strati che compongono la pelle della città, per cui la superficie urbana, intesa come epidermide, è elemento di osmosi, tessuto permeabile che connette l’esperienza di un di fuori con quella di un di dentro.
La Cappella dell’Incoronazione diventa simbolo dei processi di sedimentazione architettonica e allo stesso tempo delle fasi di mutamento culturale e di instabilità urbana; essa è un luogo dove la certezza della storia si è intrecciata con l’incertezza della leggenda, è detta dell’incoronazione perché qui, secondo una tradizione dalle fonti non accertate, avveniva l’investitura dei re di Sicilia.
All That Fall prende il nome dalla prosa radiofonica di Samuel Beckett, ideata e andata in onda per la BBC inglese nel 1956. Il dramma narra un impasse: l’incontro di due vecchi coniugi è destabilizzato da un lungo ritardo di un treno di cui non si riesce ad individuare la causa esatta. La responsabilità dell’accaduto scivola via attraverso omissioni e dialoghi incompiuti; allo stesso modo l’installazione di Stefano Canto sottolinea l’omissione di responsabilità e l’incuria urbana che grava sul contesto socio-culturale della città. ‘Tutti quelli che cadono’ è, dunque, metafora di precarietà.
L’installazione ha l'intento di sensibilizzare il tessuto sociale e creare dinamiche partecipative per la promozione del territorio, anche attraverso proposte volte alla cura e alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico di Palermo e della Sicilia, nonché di implementare processi turistici di accesso e partecipazione attraverso l’arte contemporanea e la sua restituzione in termini di incisiva riflessione sul territorio.
Open Studio N38E13 La percezione e la rappresentazione dello spazio sono fenomeni complessi, che mutano significativamente a seconda dei popoli e del tempo. L’idea stessa di spazio implica una visione strutturata delle cose e spesso, analizzando il modo in cui esso viene rappresentato, si possono individuare alcuni archetipi-chiave che stanno alla base di un pensiero, di una cultura o di una comunità. Partendo da questo punto e dalla specificità dello sguardo dell’artista, l’Open Studio del progetto All That Fall crea le condizioni preliminari perché si pongano domande in modo corretto.
Nel caso del paesaggio e dello spazio la prima domanda centrale è: come si conosce un luogo? La seconda è: conosciamo davvero il nostro luogo? Il problema dello spazio è presente a ogni livello e in ogni rapporto di scala. L’artista procede come un antropologo moltiplicando le domande: raccoglie, ordina e studia i dati che emergono dall’incontro complesso con il paesaggio urbano palermitano e non si limita a capire cosa è stato un paesaggio ma cosa può diventare e cosa chiede di diventare. Stefano Canto considera, dunque, il sito come un sistema di segni, come un rivelatore di senso e come un indizio per entrare nelle trame di un sistema culturale.
Salvatore Davì
APPUNTI DI VIAGGIO
Il Quaderno degli appunti di viaggio raccoglie una serie di disegni prodotti sulla base di scatti fotografici realizzati per le strade di Palermo. L’attenzione è focalizzata esclusivamente sulle superfici architettoniche intese come epidermide del territorio urbano. Il risultato è un’insolita mappatura del luogo che ne rivela i continui cambiamenti e adattamenti. Il quaderno è un’analisi di studio preparatorio fondamentale per la realizzazione dell’installazione, presso la Cappella dell’Incoronazione di Palermo. La produzione di un quaderno è tipica del modus operandi dell’artista che prima di realizzare qualsiasi progetto, appunta riflessioni, idee, spunti, con immagini, disegni, collage e schizzi che riporta all’interno di taccuini.
STAMPE
Le stampe su carta da lucido e la piccola pubblicazione nascono da un’elaborazione fotografica che connette strati e superfici materiche individuate dall’artista durante la sua permanenza a Palermo. Lo studio della materia architettonica invade quello del corpo con intrusioni di immagini che rimandano a mappe anatomiche ed elementi organici. Dalle forme e dalle sezioni di spazio emerge una riflessione sul contesto del messaggio, sul significato delle superfetazioni che denotano l’incuria e i condizionamenti messi in opera dai sistemi, non solo sul piano semantico ma anche su quello estetico.
La serie di stampe su carta cotone nasce dallo studio di vecchie pellicole utilizzate per le illustrazioni del libro "Porta del sole", pubblicato da Editrice Novecento per i lettori del Giornale di Sicilia, nel 1980 circa. Stefano Canto ritrova le pellicole, incollate in mazzetti e logore dal tempo, in uno dei mercati storici della città di Palermo. Le immagini ritrovate custodiscono una porzione della storia editoriale siciliana; la pubblicazione conteneva illustrazioni di Beppe Madaudo e testi di Gesualdo Bufalino, solo per citarne alcuni. L’artista riprende ogni singolo mazzetto ritrovato e lo elabora creando un ulteriore ponte tra la forma della sua ricerca e il contenuto storico.
MATTONE
I mattoni dalle dimensioni di 5,5×12×25 cm, prodotti in casseforme, sono simbolo della memoria, estratti del paesaggio che Stefano Canto utilizza come riflessione per sondare le connessioni che legano lo spazio geometrico a un’altra «spazialità», quella che Marleau-Ponty definisce «spazio antropologico». L’artista costruisce un legame ontologico, adoperando il concetto di membrana, di cui il mattone, come la pelle, sono simboli che si posizionano come varchi tra l’esperienza di un di fuori e quella di un di dentro; recupera l’idea della superficie architettonica intesa come elemento di osmosi tra le esperienze spaziali, accostandola a quella della superficie corporea. Il cemento e il sangue diventano emblemi che sintetizzano l’aderenza della fenomenologia dell’essere nel mondo.