ARCHEOLOGIA DELL'EFFIMERO. 2016
Residenza Viafarini, Milano
Tenendo conto dei rapidi e continui mutamenti propri del nostro tempo, l’effimero, a differenza di quel che nasce per durare, può essere considerato uno dei primi segnali da interpretare al fine di meglio comprendere la condizione attuale dell'essere umano.
Nella sua definizione di “modernità liquida”, il sociologo polacco Zygmunt Bauman associa alla realtà contemporanea alcune peculiarità distintive come: transitorietà permanente, effimero durevole, ruoli sociali inadeguati, futuro incerto, posizione sociale fragile e insicurezza esistenziale.
Nella ‘vita liquida’ tutto è in continuo cambiamento e rinnovamento, il concetto di passato tende a perdere senso e quello di futuro a non esistere o ad essere molto lontano, irraggiungibile. Questa condizione di precarietà era stata evidenziata anche da Marc Augé, il quale sosteneva che la società contemporanea “non mira all’eternità, ma al presente: un presente, tuttavia, insuperabile". E aggiunge: "Essa non anela all’eternità di un sogno di pietra, ma a un presente ‘sostituibile’ all’infinito”.
Le parole di Bauman e di Augé restituiscono un quadro chiaro della realtà attuale e sottolineano l’importanza del concetto di effimero come strumento indispensabile per l’osservazione degli accadimenti.
Nel contesto di una società che nega l'esistenza di un passato e di un futuro, per restare intrappolata in un eterno presente, le figure dell’archeologo (colui che riporta in vita l’oggetto artistico) e dell’artista (colui che lo crea) sembrano sovrapporsi. Ne deriva l’immagine di un artista-archeologo che assume un ruolo chiave racchiudendo in sé due aspetti importanti: quello dell'interprete dei segni di una civiltà sospesa nel tempo e quella del promotore di processi progettuali e creativi, garante quindi di una continuità ciclica della creazione artistica.
Il progetto “archeologia dell’effimero” prevede una serie di installazioni di diversa misura e forma, costituite essenzialmente da due materiali, ghiaccio e polvere di cemento. Ogni installazione necessita di tre fasi di realizzazione: quella iniziale nella quale gli elementi vengono posizionati, la fase intermedia in cui avviene l'interazione tra le diverse parti e quindi lo scioglimento del ghiaccio e il consolidamento del cemento; infine l'ultima in cui si puliscono gli eccessi di materia.
I tempi necessari per il passaggio dalla prima fase all’ultima dipendono dalla grandezza dei volumi messi in gioco. L’ultima fase non è da interpretare come forma finale ma come parte di un processo dove non esiste un ordine di importanza ma un ciclo di vita.
Foto: Federica Boffo
CONCRETE ARCHIVE. 2016 Galleria Matéria, Roma La mostra, dal titolo Concrete Archive presenterà al pubblico Epoca n°731, 736, un gruppo di opere iniziato nel 2015, e alcuni nuovi lavori del progetto Archeologia dell’Effimero (2016).
Oggigiorno l’importanza delle dimensioni del ‘qui’ e ‘ora’ che hanno marchiato a fuoco la generazione dei Millennials, la sindrome del FOMO (Fear of Missing Out), la diffusione di Snapchat, gli status di Facebook “a cosa stai pensando”, sottolineano un’attenzione spasmodica al presente, necessariamente condiviso, e al raggiungimento di un piacere sempre più concentrato, temporaneo, volatile.
Concrete Archive resiste al carattere effimero del presente e rafforza l’idea di stabilità e durevolezza del nostro passato. L’immagine di un archivio di cemento se da un lato propone una riflessione sulla nozione di archiviazione, documentazione e registrazione delle azioni dell’uomo, dall’altro suggerisce l’interesse di Stefano Canto nell’approccio architettonico. L’elemento del cemento non solo offre una sua lettura figurativa dell’influenza del tempo che trasforma, smussa, fortifica, ma anche letterale. Alla base della formazione di Canto come architetto, vi è uno spiccato interesse nel concetto di mutazione, e nel rapporto tra artificio e natura, soprattutto con riferimento al paesaggio alterato dalla mano dell’uomo. Nella ricerca di Canto lo spazio è percepito come una griglia, un insieme ordinato di forme geometriche, che si compenetrano e stratificano. Il suo approccio è analitico e scompone il paesaggio in piani, setti e componenti. Lo spazio si trasforma perciò in un reticolato tridimensionale composto da blocchi, forme, moduli che incastrandosi restituiscono allo spettatore la visione di un ambiente totale.
Ripensando l’archivio in termini formali e spaziali, Stefano Canto presenta Archeologia dell’Effimero, un gruppo di sculture sperimentato in occasione della residenza artistica di Viafarini a Milano, in cui gli elementi portanti sono l’effetto del tempo e l’interazione tra due materiali afferenti al mondo della natura e della costruzione, il ghiaccio e la polvere di cemento. Il ghiaccio sciogliendosi solca la polvere di cemento e mentre le conferisce consistenza e volume, crea in essa un vuoto, un varco. Tale passaggio, o via di comunicazione tra esterno e interno, consente alla massa informe di acquisire i caratteri di oggetto - un vaso, un’urna, un utensile.
L’ossimoro contenuto nel titolo Archeologia dell’Effimero aiuta a comprendere meglio il concetto di transitorietà che l’artista approfondisce a partire dalla lettura del saggio Modernità Liquida (2000) del sociologo polacco Zygmunt Bauman. Nell’idea di esistenza di Bauman, la società attuale si caratterizza per un elevato, quasi schizofrenico dinamismo, nel quale il cambiamento, per natura transitorio, finisce per assumere il carattere di dimensione costante. In quest’ottica, la nozione stessa di passato, evocata dal termine ‘archeologia’ nel titolo dell’opera, perde il suo status di punto di paragone e di riflessione sul presente e sul futuro. Tutto avviene in una continua, repentina, inafferrabile trasformazione, in cui passato e futuro si annullano per divenire eterno presente. L’opera diviene inoltre lo spunto per una riflessione sulle figure dell’archeologo (colui che lavora col passato e riporta in vita l’oggetto artistico) e dell’artista (per natura contemporaneo, che crea l’artefatto).
Epoca n°731, 736 è una serie di dieci sculture in cemento, il cui titolo richiama l’omonima rivista pubblicata in Italia tra il 1950 e il 1997. Questo lavoro combina il processo di stampa con quello della fotografia, e la scultura con l’architettura, ricerche care all’artista. Epoca n°731, 736 è un'azione di archiviazione: l’utilizzo delle immagini originali del periodico riporta in vita la rivista e ne fissa il contenuto per sempre su supporti di cemento. Canto esplora il processo di stampa e focalizza la sua attenzione sull’atto dell’assorbimento e trasferimento di informazioni da un corpo a un altro. Il risultato è una decodificazione, sebbene imperfetta, delle informazioni visive dall’originale alla copia. Il paesaggio appare svuotato e non tutti i colori vengono completamente trasferiti, solo lo scheletro della quadricromia, l’essenza dell’immagine. La lettura dell’inchiostro da parte della polvere di cemento crea una patina sottile e delicata, e conferisce all’immagine un carattere offuscato, passeggero, sabbioso, come se la rappresentazione potesse svanire al primo soffio di vento.
Sotto l’egida dell’efficienza, della leggerezza gestionale e della privacy, Canto riflette su come l’idea di un archivio fisico - pietra miliare del racconto passato, presente e futuro della nostra epoca - sembri avviarsi lentamente e inesorabilmente verso la sua s-materializzazione e trasformazione in un enormi cloud, in balia degli attacchi dell’effimero. Concrete Archive è un tentativo nostalgico di immortalare un presente che vira verso la digitalizzazione nebulosa e propone una lettura controcorrente all’evoluzione del nostro tempo verso l'inafferrabilità del virtuale attraverso slittamenti semantici del significato della parola inglese ‘concrete’ sia come ‘cemento’ sia come archivio ‘concreto’, tangibile, reale, materiale.
Carmen Stolfi
Foto: Roberto Apa
SOTTO L'INFLUENZA DEL FIUME. SEDIMENTO. 2017 Galleria Matéria, Roma Morfologia dell’impermanenza Nell'epoca contemporanea, caratterizzata da rapidi e continui mutamenti, l'effimero e l'impermanente possono essere identificati come concetti chiave nella comprensione della condizione attuale dell'essere umano.
Nella definizione di modernità liquida, il sociologo polacco Zygmunt Bauman associa alla realtà contemporanea alcune peculiarità distintive tra le quali transitorietà permanente, effimero durevole, ruoli sociali inadeguati, futuro incerto, posizione sociale fragile e insicurezza esistenziale.
Nella vita liquida tutto è in continuo cambiamento e rinnovamento, il concetto di passato tende a perdere senso e quello di futuro a non esistere o ad essere molto lontano, irraggiungibile. Questa condizione di precarietà è stata evidenziata anche da Marc Augé, il quale sostiene che la società contemporanea “non mira all’eternità, ma al presente: un presente, tuttavia, insuperabile”. E aggiunge: "Essa non anela all’eternità di un sogno di pietra, ma a un presente ‘sostituibile’ all’infinito”.
Le parole di Bauman e di Augé restituiscono un quadro chiaro della nostra realtà e sottolineano l’importanza dei concetti di effimero e di impermanente come strumenti indispensabili per l’osservazione del contemporaneo.
Nel contesto di una società che nega l'esistenza di un passato e di un futuro, per restare intrappolata in un eterno presente, le figure dell’archeologo (colui che riporta in vita l’oggetto artistico) e dell’artista (colui che lo crea) sembrano sovrapporsi. Ne deriva l’immagine di un artista-archeologo che assume un ruolo chiave, racchiudendo in sé due aspetti fondamentali: quello dell'interprete dei segni di una civiltà sospesa nel tempo e quella del promotore di processi progettuali e creativi, garante quindi di una continuità ciclica della creazione artistica.
In questo preciso ambito s’inserisce la mostra “Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento”, nuovo capitolo del corpus di lavori dal titolo “Archeologia dell’Effimero”, iniziato nel 2016 ma che trova le sue cellule germinali in un progetto di qualche anno prima, “Geografia in Contrazione” (2011), dove elementi vegetali prelevati da contesti incontaminati della città venivano inglobati in blocchi di cemento per farne degli illeggibili archivi del paesaggio.
In “Sotto l’influenza del Fiume. Sedimento” il Tevere diventa il punto di osservazione e rifessione sulla metropoli contemporanea ed il suo fondo, il luogo in cui si configura la città nella sua vera forma. Materie organiche e inorganiche di diverso genere e frammenti architettonici di ogni epoca si accumulano e confondono in una unica omogenea massa grigia fatta di infiniti strati in continuo movimento e rimodellamento.
Questo magma architettonico trova la sua solidifcazione (litificazione) all’interno di grandi vasche poste in galleria dove viene ricreato il microcosmo del Tevere. Grazie alla polvere di cemento rilasciata da una macchina sopraelevata e appositamente progettata, si attiva così un processo fortemente accelerato di costruzione di sedimenti della città “liquida”, fossili emblematici del nostro tempo.
Photo: Roberto Apa
F.7. 2018 Residenza Officine del Carmine, Corigliano Calabro Il rapporto con l’acqua è di fondamentale importanza per la nascita e sviluppo di ogni città, piccola o grande che sia, per Corigliano Calabro è storicamente qualcosa di particolare e complesso, l’acquedotto ad arcate sovrapposte che segna l’entrata al centro storico dimostra chiaramente questa attenzione e cura.
La stessa struttura architettonica del Monastero del Carmine parla di questa premura, essendo presente all’interno della mura una sofisticata rete di canalizzazione delle acque che consentiva di sfruttare fino all’ultima goccia questa fonte naturale indispensabile.
F7 è un omaggio alle fatiche dell’uomo e al proprio ingegno messo in campo nel cercare di governare questo elemento effimero.
Venticinque blocchi di ghiaccio sono stati fatti sciogliere all’interno di una cassaforma contenente polvere di cemento e ossidi policromi, l’acqua nel passaggio da forma solida a liquida ha lasciato un solco all’interno della massa di polveri e al tempo stesso bagnando il cemento ne ha innescato il processo di indurimento e pietrificazione.
Il risultato finale a distanza di diversi giorni è un grande blocco di pietra artificiale cavo al suo interno, una sorta di fontana o più semplicemente una vasca per la raccolta delle acque come se ne trovavano molte anticamente.
POLISIDRO. 2018 Spazio Gamma, Milano Il fiume scorre sempre a Milano Qual è il principio che governa l’evoluzione della metropoli contemporanea? E quale ruolo spetta all’artista che sceglie di indagarne, comprenderne e archiviarne la fenomenologia? È a partire da questi interrogativi che Stefano Canto torna ad attraversare Milano, città nella quale nel 2016, durante una residenza a Viafarini, ha inizio la sua lunga ricerca intorno all’archeologia dell’effimero. L’artista assimila da Marc Augé il concetto di un eterno presente, sostituibile all’infinito, quale principio generatore dell’esistenza contemporanea, e attraverso di esso osserva Milano come ideale produttrice di una architettura dell’effimero. Intrappolata nel flusso forsennato del presente che non lascia tempo né alla formazione del passato né tantomeno all’immaginazione del futuro, la metropoli contemporanea, intrinsecamente effimera, non è più in grado di generare rovine; quella che Augé definiva “eternità di un sogno di pietra” viene sostituita da un ammasso di sedimenti precari.
Nella mostra intitolata Polisidro - un’ironica ibridazione tra polis e idro - Stefano Canto mette in scena un processo paradossale, dando corpo e forma alla natura mutevole di Milano. L’acqua, simbolo prediletto di una contemporaneità liquida, e il cemento, emblema della corsa architettonica del XX secolo, sono i materiali che l’artista sceglie di combinare all’interno di Spazio Gamma. Disponendo sul pavimento cumuli di cemento a presa rapida e sovrapponendovi sfere di ghiaccio contenenti pigmenti e ossidi di pietra nera, genera un microcosmo che si trasforma lentamente sotto lo sguardo del visitatore. I solidi di ghiaccio, forme architettoniche dalla temporalità circoscritta, imprimono un segno sulla massa informe del cemento, producendo una serie di interferenze, chimiche e semantiche, tra organico e inorganico, naturale e architettonico. Alla fine del processo di scioglimento, come un archeologo a lavoro nel cantiere di scavo, l’artista rimuove la polvere in eccesso e libera da ciascuno dei cumuli forme scultoree dalle fattezze di un cratere vulcanico. Il paesaggio che abita la galleria è solcato dalla presenza di un’imponente costruzione: un modulo di archivio progettato per accogliere i reperti prodotti, o forse rinvenuti, nel corso della mostra. Ecco allora che la galleria diviene contemporaneamente laboratorio dell’artista, scavo archeologico e luogo di archiviazione e studio dei reperti. In un tempo caratterizzato da una radicale smaterializzazione della memoria, storica e architettonica, che sembra rendere impossibile qualunque processo di stratificazione, all’archeologo non spetta più il compito di rinvenire le tracce di tale storia. Egli deve invece immaginare e produrre i reperti della città liquida ma non può che farlo avvalendosi del metodo aleatorio dell’artista. A completare tale processo interviene poi il visitatore che, attraversando lo spazio, osserva e indaga il reperto nei diversi stadi della sua formazione, ricostruendo i frammenti del complesso dispositivo di produzione di senso messo in scena da Stefano Canto.
Vasco Forconi